1. L’Associazione : le tappe principali
L’associazione nasce nel 2010 e ha sede in provincia di Frosinone, precisamente a Fontechiari, nella Valle di Comino.
In realtà il lavoro di ricerca era iniziato nel 1996. Lo scopo principale della ricerca fu quello di cercare i fontechiaresi nel mondo partiti da alcune contrade del paese, su richiesta di due emigrati del luogo. Furono intervistati i residenti più anziani, che spesso erano emigranti di ritorno. Alcuni di loro, essendo rientrati negli anni ’60, avevano vissuto l’emigrazione fra le due guerre o avevano ancora vivo il ricordo di chi era partito agli inizi del secolo. Attraverso i loro racconti si riusci’ a ricostruire una sorta di anagrafe locale con i luoghi di partenza e di arrivo degli emigrati. I risultati furono sorprendenti – tanto quanto quelli a livello nazionali d’altronde – se si pensa che dai primi del ‘900 agli anni ’70 circa, furono in trecento le persone che partirono da un’area geografica di un raggio di appena due chilometri. Va precisato che quella ricerca teneva conto solo dell’emigrazione internazionale e non di quella interna all’Italia, i cui numeri si sarebbero sommati ai precedenti. Osservando quei numeri ed ascoltando le testimonianze, ci si rese subito conto delle dimensioni del fenomeno. Dati, peraltro, confermati dalle statistiche ISTAT e dagli archivi comunali dai quali si evince che al 1960 più di duemila abitanti avevano lasciato il paese.
Tuttavia si ebbe ragione di credere che le fonti ufficiali non fossero complete. Da un confronto con i registri comunali, infatti, non si evinse una totale corrispondenza degli elenchi. Per ragioni di tipo diverso molti dei nominativi in nostro possesso non risultavano nei registri di emigrazione del Comune di Fontechiari. Le ipotesi avanzate furono la perdita dei documenti oppure possibili partenze clandestine, ma ad oggi non si hanno elementi perché tali ipotesi possano essere confermate. In ogni caso la prima conclusione a cui si giunse fu che quei luoghi si erano svuotati. Non esisteva un solo nucleo familiare che non avesse congiunti o parenti all’estero. Di fronte a questi dati, la prima esigenza fu quella di restituirli come memoria storica alla comunità in maniera permanente. L’idea ipotizzata inizialmente si concretizzò subito in volontà. Si decise di incidere tutti quei nomi su un pannello quale rappresentazione fisica di un fenomeno ben più ampio.
Nel 2006 fu inaugurata una stele, posta in un punto abbastanza centrale dell’area, che è tuttora visibile ai passanti.
Nel 2010 lo stesso gruppo di lavoro decise di costituirsi in associazione per poter dare una maggiore ufficialità alla ricerca e continuare con altre attività. Cosciente del fatto che con il passare del tempo si stavano perdendo le principali fonti da cui poter attingere informazioni, l’associazione iniziò a raccogliere qualunque documento potesse testimoniare il fenomeno dell’emigrazione di Fontechiari. Attraverso un lavoro capillare e accedendo agli archivi familiari l’associazione cominciò a raccogliere fotografie, documenti di viaggio, documenti d’identità, lettere, cartoline, e oggetti vari legati all’esperienza migratoria dei fontechiaresi.
Il materiale raccolto, conservato nell’archivio dell’associazione, ogni anno è oggetto di un’esposizione pubblica che rappresenta una vera occasione di confronto con la comunità che si riconosce nel lavoro fatto. In un certo senso l’esposizioni sono la manifestazione diretta del senso di responsabilità che la comunità ha nel volere conservare la memoria del passato, del “chi eravamo”. Lo stesso materiale è consultabile sul sito web dell’associazione che costituisce un canale indispensabile per lo scambio con la comunità locale da un lato e con i fontechiaresi nel mondo dall’altro.
Alle attività di ricerca si unisce un lavoro di promozione del territorio attraverso l’organizzazione di visite guidate ai siti storico-monumentali e alle bellezze naturali della Valle di Comino dedicato ai discendenti dei fontechiaresi emigrati. E’ un’attività che permette a questi ultimi, come loro stessi sostengono, di ritrovare le proprie radici e di vedere quei luoghi di cui hanno sempre sentito parlare nei racconti dei loro familiari.
2. Una breve parentesi sull’emigrazione storica nel Basso Lazio
L’emigrazione della zona geografica a cui facciamo riferimento è particolarmente complessa per più ragioni :
1) L’attuale Provincia di Frosinone è relativamente giovane e costituita difatti solo nel 1927. La Valle di Comino fino a quella data aveva fatto parte della Terra di Lavoro appartenuta alla Provincia di Caserta e quindi al Regno delle Due Sicilie. L’avvicendarsi dei diversi eventi storici pre e post unitari ha reso difficile la ricostruzione dei movimenti della popolazione sia interni che esterni alla regione senza peraltro considerare il ruolo attrattivo della città di Roma. Sono ancora molti i tasselli mancanti, affinché la ricostruzione del fenomeno migratorio possa essere considerata completa sia sotto il profilo storico che socio-politico.[1]
2) Solo nella seconda metà dell’Ottocento le istituzioni iniziarono ad documentare ufficialmente gli espatri istituendo i registri da cui è stato possibile poi attingere informazioni. Ciò lascerebbe intendere che le partenze erano già iniziate da tempo e stavano diventando assai consistenti da richiedere l’intervento statale. Sul piano statistico le istituzioni cominciarono ad interessarsi all’emigrazione a partire dal 1876.
3) Quanto al periodo antecedente esso resta da indagare ancora per molti aspetti. Sarebbe interessante qui un confronto con la bibliografia sulla “questione meridionale” al fine di rivedere le ricostruzioni fatte fino ad oggi. Secondo alcune fonti molta gente emigrava stagionalmente verso la campagna romana, anche dalla Valle di Comino. E sempre dalla Valle di Comino partivano molti dei suonatori di strada, dei modelli dei grandi pittori francesi, che aprirono le vie all’emigrazione verso l’estero ben prima che iniziassero i flussi tradizionalmente studiati provando l’esistenza di flussi migratori in anticipo sui tempi rispetto alle grandi ondate iniziate a ridosso dell’Unità d’Italia.[2]
Ad oggi, malgrado l’esistenza di una buona bibliografia[3], che ha trattato anche alcuni fra i paesi limitrofi intorno a Fontechiari[4], molti aspetti dell’emigrazione laziale della zona restano ancora da chiarire. Ed in questo senso il ruolo della comunità è determinante per poter raccogliere tutte quelle fonti informali, come gli archivi di famiglia, che spesso celano materiale utile alla ricerca scientifica e alla diffusione di un tale sapere, prima che anche i dati riguardanti i periodi più recenti vadano persi.
3. Il lavoro dell’associazione
I risultati ottenuti dalle attività di ricerca attraverso le testimonianze, insieme con i documenti raccolti fino ad oggi, seppure strettamente legati ad un’area geografica ben definita e circoscritta, hanno permesso di evidenziare alcuni aspetti storiografici e socio-economici del fenomeno migratorio.
Le fonti orali e scritte
Per quanto concerne le destinazioni degli emigrati partiti da Fontechiari tra i paesi europei vi erano la Francia, seguita da Belgio, Irlanda e Inghilterra. mentre la principale meta oltreoceano erano gli Stati Uniti seguiti da Venezuela, Brasile, Argentina, Canada e Australia. L’emigrazione di Fontechiari fu fortemente alimentata dalle catene migratorie che si instauravano fra conoscenti e parenti, mentre il ricongiungimento familiare ebbe un ruolo minore. Anche l’emigrazione di ritorno, ebbe un ruolo preponderante nel corso dei decenni.
Sulla base delle dichiarazioni raccolte, le ragioni della partenza erano nella maggior parte dei casi le dure condizioni di vita del mondo rurale. Spesso a partire erano famiglie intere, che spinte dalla disperazione decidevano di avventurarsi anche per destinazioni lontane e portando con sé i figli ancora in tenera età.
Su questo ultimo punto si rende necessaria una riflessione. Per quanto le condizioni di vita fossero difficili, non possiamo non considerare il fatto che la possibilità di emigrare si poneva spesso come un’alternativa proposta agli italiani. In un certo senso la decisione di emigrare non era sempre solo una scelta obbligata, spesso essa era un’alternativa proposta dalle stesse istituzioni governative. Ne sono un chiaro esempio i molteplici accordi stipulati tra l’Italia e i vari paesi europei con i quali si contrattava l’esportazione di manodopera italiana[5] e alla precedente politica nazionale e internazionale che vedeva nell’emigrazione la sola soluzione ai problemi economici dell’Italia.[6]
Si pensi poi a come gli emigrati italiani attraverso le rimesse abbiano contribuito in maniera importante alla crescita economica dell’Italia, diventando i protagonisti di un’enorme opera di ricostruzione del paese senza veramente esserne consapevoli.[7] [8]
Anche a Fontechiari si ritrovano tracce di queste operazioni grazie ai documenti raccolti da Legami Lontani. Ne testimoniano i libretti di risparmio e le ricevute dei trasferimenti di denaro alle famiglie rimaste in Italia, le procure per compravendita di terreni, la corrispondenza su questioni patrimoniali, gli atti notarili.
Un altro aspetto, a nostro avviso rilevante, risiede nelle capacità e nella preparazione di coloro che partivano. Noi stessi abbiamo parlato delle difficili condizioni di vita del mondo rurale. In realtà, pur essendo del tutto vero che gli emigranti in questione svolgessero attività agricola, è altrettanto vero che essi avevano le più svariate conoscenze in termini di artigiano, costruzioni e lavorazione dei metalli. In realtà il mondo agricolo dell’epoca – ci riferiamo qui al lasso di tempo che va dall’Unità d’Italia all’inizio del secondo dopoguerra – era molto variegato dal punto di vista lavorativo e richiedeva vari tipi di specializzazione perché la stessa attività agricola e di allevamento, quali principali attività di sostentamento, fossero sufficientemente produttive. Questa specializzazione seguiva l’emigrato e ne aumentava la possibilità di trovare lavoro una volta giunto nel paese di destinazione. In altri casi, la conoscenza di un mestiere era la discriminante nella scelta del paese di destinazione, come nel caso dei muratori che hanno partecipato ai grandi cantieri edili in Canada o negli Stati Uniti diventando loro stessi imprenditori del settore.[9]
Tra i nostri interlocutori sono molti coloro che raccontano del contenuto delle (loro) valigie. Nella maggior parte dei casi, oltre a pochi indumenti, gli emigranti portavano con sé gli attrezzi del mestiere. Succedeva spesso di trovare nei bagagli falci, scalpelli, trapani per gli uomini, mentre le donne erano solite portare un minimo necessario per la casa, quanto poteva servire per cucire e attrezzi per la trasformazione dei prodotti agricoli, strumenti indispensabili per le varie attività che una donna dell’epoca era solita fare. Tutto ciò non solo permetteva di portare gli oggetti del quotidiano del paese di origine ed essere pronti ad ogni evenienza nel paese ospite del quale si sapeva poco, ma mostrava come questi migranti italiani non fossero semplice manovalanza.
Le lettere e le foto
Fonte inesauribile di informazioni è rappresentata dalla corrispondenza. Le lettere testimoniano in maniera diretta delle modalità con cui si mantenevano i rapporti, si gestivano gli affari di famiglia e si seguivano gli eventi familiari, matrimoni, funerali, ai quali non si poteva partecipare. La corrispondenza era spesso accompagnata da fotografie. Si giustifica in questo modo il fatto di avere un archivio misto in cui sono repertoriate foto del luogo – che spesso erano state scattate da un qualche “forestiero” o da un compaesano che aveva potuto acquistare un apparecchio fotografico tornato in vacanza al paese – a quelle ricevute dall’estero. In questo interscambio di immagini e informazioni è racchiuso un vero e proprio patrimonio storico-culturale dal quale emerge un mondo descritto nei minimi particolari. Il livello di alfabetizzazione, l’ortografia dell’epoca e il ruolo delle donne che quando rimanevano a casa erano chiamate a gestire gli affari di famiglia, sono solo alcuni degli elementi che emergono da questi documenti. Da un punto di vista antropologico, l’enorme differenza culturale che possiamo notare fra lo stile di vita odierno e quello di soli cinquanta, sessanta anni fa, mostra chiaramente gli effetti che il periodo di crescita del secondo dopo guerra ha generato in questi luoghi che fino agli anni ’50 erano sprovvisti di collegamenti viari, rete idrica o elettrica.
I luoghi
La dimensione spaziale si presenta come elemento chiave del rapporto degli emigrati con il paese d’origine e ha accompagnato finora tutte le attività dell’associazione. Già ai tempi della prima ricerca si notò il continuo riferimento ai luoghi. Nei racconti era sempre presente il processo di identificazione delle persone con il luogo da cui erano partite e viceversa. Dal canto suo l’emigrato conservava gelosamente i propri ricordi e li localizzava in un punto ben preciso. Nella maggior parte dei casi si trattava della casa natale o al massimo del borgo o della contrada di origine. Erano rari i casi in cui gli intervistati pronunciassero il termine Fontechiari. Ogni emigrato era indicato con il luogo esatto da cui era partito, quasi a voler ribadire il forte legame con esso. Per questa ragione i nominativi raccolti nella prima ricerca furono organizzati in base al toponimo di origine aggiungendo una carta della zona rielaborata, con i vecchi toponimi. Ed è su questa base che la stele posta in ricordo degli emigrati a Cisterna di Fontechiari ha avuto il nome di “Punto di Partenza”. A questo stesso proposito basti pensare all’effetto delle catene migratorie e a quanti luoghi sono stati ricreati nel paese di destinazione. Si tratta di una tendenza che ha distinto tutti i popoli migranti, ma che tra gli italiani ha assunto dimensioni importanti. Gli italiani hanno voluto ricostituire anche i paesi più piccoli, nell’intenzione di rendere familiare un luogo del tutto sconosciuto, probabilmente con l’obiettivo di sentirsi ancora a casa, creando spazi, strutture ed eventi uguali in tutto e per tutto agli originali. Caroline Di Cocco ha chiaramente mostrato questo aspetto nel suo libro Memory and Identity, intervistando alcune fra le principali associazioni italo-canadesi dell’Ontario che hanno ricreato un vero background culturale in loco. Il fatto stesso che queste associazioni portino il nome del paese di origine ne è la prova.
Conclusioni
Da un lato il lavoro della nostra associazione rappresenta uno spaccato di un panorama di ricerca di gran lunga più ampio. Ci riferiamo agli studi sull’emigrazione italiana che datano ormai di qualche decennio e hanno visto e vedono tutt’ora l’impegno di molti ricercatori. Studi che, come sosteneva Paola Corti in un suo articolo di qualche anno fa, hanno riprodotto l’evoluzione dei temi e dei problemi storiografici italiani.[10]
Siamo convinti che attraverso lo studio delle migrazioni sia possibile risalire a quei fatti storici, economici e politici che non sempre rientrano nei manuali di storia. E questo ancor più a livello locale, laddove a volte si sono verificati fatti decisivi per il corso della storia, ma che sono rimasti sconosciuti o conosciuti a pochi.
Dall’altro lato la memoria storica di un fatto di tale imponenza, l’emigrazione italiana appunto, sembra scomparire tra gli italiani.
E’ su queste basi che si fonda il nostro intento di continuare un lavoro di documentazione il più possibile accurato: poter contribuire, seppur in minima parte, allo studio della storia dell’emigrazione italiana.
Riteniamo che coinvolgere la comunità nel nostro percorso, e quindi un pubblico non necessariamente di professione accademica, sia fondamentale perché la raccolta e la conservazione di certi documenti sia possibile. A nostro avviso questo genere di collaborazione diviene importante anche alla luce di quanto sta succedendo oggi in Italia rispetto all’immigrazione al fine di cogliere la complessità di quanto sta avvenendo.
Siamo convinti infatti che sia utile riportare alla mente quanto è successo fino a qualche decennio fa al popolo italiano e mostrare quanto spesso i processi migratori si assomiglino. Quanto le modalità, i tempi e gli eventi che vedevano protagonisti gli italiani sembrano oggi replicarsi osservando gli immigrati che arrivano in Italia. A questo proposito tenere viva la memoria del nostro passato potrà essere di sostegno, in modo particolare alle giovani generazioni, per vivere il presente ed affrontare un futuro che si annuncia molto incerto.
di Francesca Di Legge
(foto concesse dalle famiglie Di Cocco e Gizzi)
[1]M. COLUCCI, M. SANFILIPPO, L’emigrazione dal Lazio : il dibattito storiografico, http://dspace.unitus.it/bitstream/2067/735/1/107-124.pdf, ultimo accesso 08/06/2015.
[2] M.R. PROTASI, Emigrazione e immigrazione nella storia del Lazio, 2011, p
[3]L. COLAFRANCESO, L’emigrazione in Europa dalla Valle di Comino nel secondo dopoguerra, p.1;
[4] Tra gli altri si vedano, A. MIRANDA, « Villageois et émigrés à Casalvieri (Italie) », Études rurales [En ligne], 135-136 | 1994, mis en ligne le 01 octobre 2003, consulté le 12 juin 2015. URL : http://etudesrurales.revues.org/1249 e KING, R. REYNOLDS, B., Casalattico, Dublin and the fish and chip connection : a classic example of chain migration,
Studi Emigrazione-Etudes Migrations, vol. 31, 115, 1994/09. – p. 398-426
[5]M. COLUCCI, (2008), Forza lavoro in movimento. L’Italia e l’emigrazione in Europa, 1945-1957,Tesi di Dottorato, http://dspace.unitus.it/bitstream/2067/589/1/mcolucci_tesid.pdf, ultimo accesso 06 giugno 2015;
[6]Come ne testimoniano le dichiarazioni di De Gasperi all’occasione di un incontro dell’ottobre del ’48 con George Marshall in cui dichiarò che l’unica soluzione per l’Italia sarebbe stata l’esportazione della manodopera e chiese allo stesso di intervenire presso i paesi delle Americhe perché accettassero i lavoratori italiani Foreign Relations of the United States, 1948. Western Europe: Volume III, Document 542, Page 883 ;
[7] C. VERCELLONE, (1999), Accumulation primitive du capital, industrialisation et rapport salarial : une application au cas italien (1861-1990), Tesi di dottorato, p. 367-368 ;
[8]A. DE CLEMENTI, (2002), Di qua e di là dell’Oceano Emigrazione e mercati nel meridione (1860-1930), Carocci.
[9] P. BEVILACQUA in Storia dell’Emigrazione Italiana, p 99;
[10]P. CORTI, L’émigration italienne : historiographie, anthropologie et recherche comparatiste, Revue européenne des migrations internationales, 1995 11 pp. 5-18;